Domenica 24 giugno alle ore 18 il Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” di Arezzo ospiterà la presentazione del videogioco Mi Rasna – Io sono Etrusco.
Il Museo archeologico è intitolato ad un personaggio molto famoso nell’antichità, Gaio Cilnio Mecenate e nasce nel 1936 nella sede del monastero medievale di Monte Oliveto di Arezzo, edificio che sorge sui resti dell’anfiteatro romano della città (metà II secolo d.C.) le cui strutture sono in parte ancora visibili al primo piano. Nel 1973 diviene museo statale e si articola in 26 sale distribuite su due livelli che raccontano la storia della città di Arezzo dalla sua fondazione in età etrusca fino all’età tardo antica. Al piano superiore si trovano inoltre le sezioni speciali come paleontologia, preistoria, alto medioevo e le sezioni tematiche (ceramiche, bronzi e preziosi).
Tra i reperti più significativi ospitati nel museo, i gioielli della necropoli di Poggio del Sole, un’imponente decorazione frontonale policroma da Piazza S. Jacopo (480 a.C.), una serie di teste ritratto – busti votivi da via della Società Operaia (II-I a.C.), i reperti del santuario di Castelsecco (lastre decorative, un altare in pietra e statuette votive di bambini in fasce), un ciottolo iscritto per la divinazione e un quinipondium, un esemplare monetale di notevoli dimensioni di cui esistono fino ad ora solo due esemplari. Il museo, inoltre, conserva la più ricca collezione al mondo di vasi di terra sigillata aretina, prodotti ad Arezzo tra la metà del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C. che resero la città famosa nel mondo antico. Dalle necropoli del territorio provengono l’anfora attica da Casalta con il ratto di Ippodamia, della scuola del pittore di Meidias (420-410 a.C.) e il torso di Marciano, scultura funeraria del periodo etrusco arcaico.
La sezione romana comprende mosaici, bronzetti, sculture, iscrizioni, monumenti funerari, ritratti e corredi tombali, tra cui quello di fanciulla rinvenuto in località “Puglia”.
Importante personaggio nato proprio ad Arezzo a cui è stato dedicato il Museo è Gaio Cilnio Mecenate, nato da un’antica famiglia etrusca e influente consigliere dell’imperatore Augusto. Il circolo di Mecenate, famoso ancora oggi, era formato da intellettuali e poeti che lo stesso proteggeva e sosteneva nella loro produzione artistica. Fra questi si possono annoverare poeti come Virgilio, Orazio e Properzio che hanno sensibilmente contribuito anche all’opera di propaganda della politica di Augusto.
Un importante reperto aretino che oggi si conserva a Firenze è la bellissima Chimera, opera in bronzo degli inizi del IV secolo a.C. e importante dono votivo collocato nel santuario che doveva sorgere poco fuori la città etrusca, presso l’attuale Porta San Lorentino. La scoperta, secondo i documenti ufficiali del Comune di Arezzo, sarebbe avvenuta il 15 novembre del 1553, ad una profondità di 6 metri mentre si stavano scavando le fondamenta del baluardo delle nuove mura volute da Cosimo de Medici. Dalle fonti si apprende che la statua doveva far parte di un deposito votivo nel santuario dedicato al dio Tinia (divinità etrusca corrispondente a Zues/Giove), come si deduce dall’iscrizione sulla zampa anteriore destra (TINSCVIL)
«Addì 15 novembre 1553, mentre fuori le mura della città di Arezzo, presso Porta S. Lorentino, si scavava terra per portarla nel nuovo bastione che vi si sta costruendo, fu trovato il seguente insigne monumento degli etruschi. Era un leone di bronzo fatto con maestria e eleganza, di grandezza naturale, di aspetto feroce, furente, forse per la ferita che aveva nella coscia sinistra, teneva irte le chiome e spalancate le fauci, e come un trofeo da ostentare portava sopra la schiena una testa di capro ucciso, che perde sangue e vita. Nella zampa anteriore destra di questo leone erano iscritte le lettere TINSCVIL».
Anche il Vasari ne scrisse nelle sue Vite, ma in modo più sommario: «[…] Essendosi ai tempi nostri, […] trovata una figura di bronzo fatta per la Chimera di Bellerofonte, nel far fossi, fortificazione e muraglia d’Arezzo: nella quale figura si conosce la perfezione di quell’arte essere stata anticamente appresso i Toscani, come si vede alla maniera etrusca […]»
L’animale, destò subito stupore per la bellezza e particolarità. L’aspetto, quello di un leone ferito e rabbioso con una capra sul dorso anch’essa ferita e morente, fu subito identificata dai dotti con quello della Chimera uccisa da Bellerofonte e nota dalle numerose fonti iconografiche e letterarie. L’opera, rinvenuta insieme ad altri bronzi, risultava però non integra. Oltre agli occhi e alle fauci, mancava del corno destro della capra e aveva le zampe del lato sinistro e la coda spezzate. La coda però non venne ripristinata fino alla seconda metà del Settecento, quando fu eseguita un’integrazione ex novo ad opera dello scultore Francesco Carradori.
Dopo il rinvenimento, la statua per volontà di Cosimo fu subito portata a Firenze a Palazzo Vecchio dove ebbe un grande successo e divenne simbolo del novello Bellerofonte, Cosimo, determinato a sconfiggere i suoi nemici per il possesso della Toscana. Dopo un primo intervento di restauro, l’opera su progetto del Vasari fu collocata in un ambiente pubblico del Palazzo, nella sala di Leone X. Le altre statue rinvenute assieme alla Chimera ripulite da Cosimo stesso e restaurate da Benvenuto Cellini, trovarono collocazione nello Studiolo di Calliope, dove Vasari volle si collocasse anche la statua della Minerva, sempre rinvenuta ad Arezzo nel 1541. Nel 1718 la Chimera fu spostata agli Uffizi e successivamente, al Regio Museo Archeologico di Firenze oggi Museo Archeologico Nazionale.
Nonostante le numerose richieste di restituzione da parte della città di Arezzo, il ritorno della statua a tutt’oggi sembra ancora essere una “chimera”.